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GIOVANNI ROMAGNOLI (Faenza 1893 – Bologna 1976) | Veduta di Bologna

Giovanni Romagnoli nacque a Faenza nel 1893, e compì i primi studi artistici che li completò poi a Bologna, dove infatti ottenne il diploma dell’Accademia di Belle Arti nel 1911. Poco prima di intraprendere quella fertile attività di insegnamento che avrebbe proseguito in località e in ordini diversi lungo tutta la vita, Romagnoli aveva già dato inizio alla sua partecipazione a mostre e premi.
Singolare, nel suo caso, il fatto che egli (per dirla con Franco Solmi) riuscì sempre ad ottenere “consensi senza invidie e attenzioni senza entusiasmi”. Da giovane come in vecchiaia, infatti, il suo carattere schivo e privo di ogni morbosità agonistica, la sua capacità innata di passare inosservato gli consentirono il pacifico distacco nel quale condusse la sua intima e laboriosa ricerca artistica senza impegnarsi in compromessi o diatribe con scuole e correnti. “Non vi sono astrazioni in lui, non vi sono misticismi”, ha scritto Mario De Micheli, perchè “La realtà così com’è gli basta: una realtà sensibile, da chiudere nel giro degli occhi, da toccare allungando la mano”: una inclinazione intellettuale e morale, questa, che non lo induceva a incontrarsi (è sempre De Micheli ad affermarlo) “né col futurismo, né con la metafisica, né col novecentismo”. Il silenzioso ma incontrastato riconoscimento del suo magistero cominciò con il premio Curlandese nel ’17 e nel ’22, con numerosi premi, negli stessi anni, della “Francesco Francia”, con un importante riconoscimento, nel 1924, alla Mostra internazionale di pittura dell’Istituto Carnegie di Pittsburg negli Stati Uniti, che non fu privo di conseguenze per il pittore: il quale fu infatti chiamato nella cittadina americana due anni dopo per far parte della giuria del premio, nonché per assumere la cattedra di pittura presso la locale Accademia di Belle Arti, dove infatti Romagnoli insegnò nel ’26, nel’30 e nel ’31, per tornarvi con importanti lectures nel ’38 e nel ’49. Solo l’amore per la vita raccolta e schiva che sapeva di poter condurre a Bologna lo trattenne dall’espatriare: anche a Bonnard che, dopo essere stato a Pittsburg insieme a lui, lo chiamava a Parigi, disse di no.

Da Bologna, dunque, dove proseguiva l’insegnamento presso l’Accademia di Belle Arti trasferitovi da quella di Modena, continuò a partecipare alle mostre nazionali e internazionali che non gli furono avare di riconoscimenti: nel ’35, a Roma è premiato per un’opera di scultura; ancora per la scultura lo premia nel ’36 la Reale Accademia d’Italia; una medaglia d’oro per l’incisione ottenne nel 1957 a Venezia, dove aveva già partecipato a numerose Biennali. Un’altra serie di riconoscimenti venne conferita a Giovanni Romagnoli nell’ambito culturale: medaglia d’oro come benemerito della scuola dell’Arte e della Cultura nel 1965, fu accademico e professore onorario di diverse accademie italiane (quelle di S. Luca a Roma, quella di Carrara, la Clementina di Bologna e quella delle Arti e del Disegno di Firenze). Non ultimo, fra quelli che dovettero essere più cari a Romagnoli, il riconoscimento della fedele amicizia di molti, tra cui ricordiamo padre Gianni Poggeschi, poeta e pittore, e il sacerdote don Dario Zanini, il quale ne ha rese pubbliche, postume, numerose pagine tra meditazione, poesia e preghiera veramente intime e profonde e soprattutto illuminanti sull’origine tutta interiore del riserbo e del distacco di Romagnoli dagli uomini e dagli eventi. Morì nel 1976, dopo una vita passata incessantemente al lavoro, dibattendosi fino all’ultimo tra ansia di artista e umiltà di cristiano.

ANTOLOGIA CRITICA

“… un artista in cui l’istinto è sollecitato dalle memorie (…) opera che nel suo complesso compone il volto di un artista in cui l’ansia della sperimentazione continua, la tenacia della continua esplorazione, il bisogno di sempre nuove esperienze ripropongono con meravigliosa coerenza la fedeltà alla propria natura, il magico risalto dei propri sogni”. “La luce è appunto il lievito intimo e segreto dell’arte di Romagnoli; la luce che rende trasparenti i colori, ferma le inflessioni più sottili, le vibrazioni più inattese, e trasfigura le forme in un’accensione continua”. “… nessun programma rivoluzionario, ma un semplice messaggio umano, un’impegno di immediatezza e di verità”. “Un’arte che non si sbreccia per attingere impossibili mete, ma vive tutta nel giro di una febbrilità podigiosa (…) e, nell’incalzare di eventi estremamente problematici, di avventure che toccano l’assurdo, sembra stringersi sempre più nei propri limiti come in un incantato rifugio” (S. Bottari, 1961). “Questa discrezione appassionata, questa nuova verità, passata attraverso il cuore, questo rigore, quasi, di obiettività, di rappresentazione in prosa pittorica…”. “…i nudi che, a furia di passione nel pensarli, acquistano il diritto ad una interpretazione mitologica, di favola antica: e chiamasi Venere, Betsabea”. “La luminosità di Romagnoli (…) è cosa ben più complessa della luce chiarista” (G. Raimondi, 1961). “… una personalità schiva, moderata e gentile, che l’amore struggente per l’arte ha sempre pienamente appagato in ogni circostanza della sua esistenza”. “Accanto alla lezione altissima e severa di Morandi e a quella di Corsi, così folta di estri e di rutilanti fantasie, l’opera di Romagnoli si colloca naturalmente con originale fisionomia, prendendo rilievo nel tempo che è trascorso per la fragranza dei suoi risultati” (M. De Micheli, 1969). “…Romagnoli profondamente devoto (…) non tanto per l’impegno che egli assunse di far pittura e scultura sacra, ma per l’umiltà la modestia, la carità che si unirono in lui (…) all’assoluta coscienza del proprio compito e alla rigorosa fedeltà ai propri ideali, etici od estetici che fossero” (F. Solmi, 1977). “Il dolore non ispirava la sua vena artistica perchè sembrava più consono al bisogno dei sofferenti l’esempio di Cristo e di Francesco d’Assisi. Ma quando affrontò nell’arte il soggetto più arduo, l’Uomo dei dolori, riuscì ad imprimervi un alito di trasfigurazione” (D. Zanini, 1978). “… l’artista, tutt’altro che assente nella vita culturale, anche la più diramata, della città (…) mantenne un suo dolce e umanissimo distacco dalle diatribe e dai dibattiti più o meno fecondi che animavano le stagioni bolognesi “. (F. Solmi, 1981).

Testo tratto da “Artisti allo specchio”, catalogo della mostra, Bologna, Associazione per le arti Francesco Francia, stampa 1990. Trascrizione a cura di Lorena Barchetti.

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